venerdì 23 maggio 2014

Clouds Of Sils Maria: Le Recensioni Italiane


COMING SOON
Sull'intelligenza (cinematografica e non) di Olvier Assays c'è poco da discutere. Così come sulla sua cultura. 
E Sils Maria  è un film che quell'intelligenza e quella cultura le rispecchia appieno in un testo e una messa in scena strutturati, profondi eppure limpidi e lineari. 
Tutto costruito su relazioni binarie e speculari tra il personaggio di Juliette Binoche (attrice quarantenne che accetta di interpretare una nuova messa in scena della pièce che la rese famosa, ma non più nel ruolo della protagonista ventenne, ma in quello della donna più grande che ne fu mentore, capo, amante e infine vittima) e quello della sua assistente Kristen Stewart, della giovane star Chloe Grace Moretz, e quindi tra la stessa attrice, in conflitto con sé stessa, la sua età, le sue tante incarnazioni mediatiche, Sils Maria riecheggia classici come Eva contro Eva e La sera della prima, dandogli nuove e più complesse sfumature. 
La Maria di Binoche (un nome che va a relazionarsi direttamente e dialetticamente anche con la località svizzera che dà il titolo al film, e che assume valori simbolici) è una donna che vede frantumarsi le sue certezze identitarie, che si ritrova a doversi mettere in discussione per quello che è, quello che era e quello che può e deve diventare. Nei personaggi della Stewart prima e della Moretz poi, trova degli specchi che le restituiscono immagini destabilizzanti, irriconoscibili, che fatica ad accettare: immagini che o svaniranno misteriosamente dalla sua vita e dalla sua coscienza, o che le si pianteranno di fronte come una condanna. 
Assayas attraversa questa storia, i suoi dialoghi densi e complessi, il continuo gioco di rimandi identitari con una sicurezza tranquilla, tracciando un sentiero diretto che attraversa la complessità senza ridurla, muovendo sinuosamente la macchina da presa in modo tale da rendere quasi inafferrabile il labirinto concettuale e testuale nel quale cala personaggi e spettatori, toccando sia questioni specificatamente attoriali che identitarie a tutto tondo. 

Se c'è un limite (magari soggettivo), in Sils Maria, è quello della freddezza e della distanza emotiva che Assayas sceglie come chiave ideale per le sue elucubrazioni intellettuali e filosofiche: che se da un lato sono funzionali all'implosione del dramma e alla sua messa in sordina, dall'altro corrono il rischio di limitare l'empatia dello spettatore. 
Come nelle scelte della scenografia teatrale della pièce al centro delle vicende, Sils Maria è allora un film ordinato ed essenziale, trasparente e levigato come il vetro e con la stessa difficoltà ad aggrapparcisi. 




SCREENWEEK


Da quando esiste Eva contro Eva  , e parliamo perciò di oltre mezzo secolo, ogni volta che sul grande schermo compare un’attrice ormai “matura” messa in crisi dall’arrivo di una giovane concorrente, la mente non può andare che a quel grande classico e a un certo modo di rappresentare la competizione femminile. Un modo volto a metterne in luce soprattutto la spietatezza e la  mancanza di scrupoli, come se il potere seduttivo di una ragazza non ancora approdata all’età adulta fosse l’immagine stessa dell’irruenza e della prepotenza della gioventù rispetto alla senilità. Il nuovo film di Olivier Assayas, Sils Maria(o Clouds of Sils Maria come recita il titolo internazionale) si inserisce in questo filone, ma con l’intento palese di approfondire fino al midollo le dinamiche di questo gioco sottile tra donne e attrici, mettendole in correlazione non solo con le paure primordiali dell’essere umano ma anche con l’arte della recitazione e di trasformare se stessi in base al ruolo richiesto da un copione, che può essere anche quello della vita. Presentata in concorso al 67° Festival di Cannes, l’opera di Assayas si caratterizza ovviamente per un cast femminile d’eccezione, capeggiato dalla sempre splendida Juliette Binoche , cui spetta appunto la parte di un’interprete di fama internazionale, Maria Enders, cui viene chiesto di recitare nel nuovo adattamento della pièce teatrale che la rese famosa all’inizio della sua carriera. Da quella prima prova sono passati però 20 anni, dunque a lei non spetterebbe più il ruolo della giovane seduttrice, bensì quello della sua “vittima”: la donna a capo dell’azienda in cui lavora, che si lascia vincere dal suo fascino tanto da  entrare in un vortice autodistruttivo di dipendenza e sottomissione all’acerba compagna. Nonostante sia un’attrice di talento, il passaggio dal primo al secondo ruolo ha troppe implicazioni personali per Maria, incapace di accettare il passare del tempo e dell’età. La situazione non migliora incontrando la sua nuova rivale sul palco, star di Hollywood praticamente adolescente (Chloe Moretz ), a suo agio con gli scandali e caratterizzata da una certa strafottenza impunita. 

Ad essere messo in discussione è però soprattutto il rapporto diMaria con la sua pure giovane assistente personale (Kristen Stewart ), che aiutandola nelle prove finisce per diventare oggetto delle ossessioni e delle paure più o meno confessate dell’interprete. Incentrato soprattutto sul livello psicologico e sulla razionalizzazione dell’interiorità dei personaggi, che emerge solo nel gioco di ruoli richiesto dalla preparazione dello spettacolo teatrale,Sils Maria  ha come sicuro vantaggio quello di non cedere mai al melodrammatico. Nessun odio viscerale, nessuno sguardo carico di sfida o di disprezzo: tutto resta nell’alveo di un percorso personale compiuto dal Maria, senza grandi scossoni nella trama né nello stile di recitazione degli attori. C’è invece una progressiva metamorfosi che porta effettivamente il personaggio della Binoche a somigliare sempre di più al proprio alter ego teatrale, ma tutto in un quieto percorso interiore, svolto per altro nell’amenità delle Alpi svizzere. Unico momento e intuizione davvero interessante nel film è l’improvvisa scomparsa di uno dei personaggi, che ricorda da vicino L’avventura di Antonioni, senza tuttavia riuscire a eguagliare il coraggio di quell’opera e di quell’autore. L’alto tasso dialogico di Sils Maria  lo rende molto, forse troppo, asettico e cerebrale, tanto da lasciare quasi inutilizzato anche il meraviglioso scenario naturalistico scelto da Assayas. Il film infatti si svolge per tutta la parte centrale nella zona montuosa della Maloja (Maloggia in italiano), caratterizzata dal passaggio di nubi che si accumulano nella valle per poi snodarsi tra le cime montuose a mo’ di serpente. Un fenomeno usato, nemmeno troppo implicitamente, come metafora del lento insinuarsi delle nebbie del passato nel presente della protagonista, ma anche in questo caso relegato nel sottofondo di scene monopolizzate dalle battute teatrali. Sils Maria  si presenta perciò come un film elegante ma privo di grandi intuizioni, sostenuto soprattutto dall’ottima prova di una Juliette Binoche che a questo punto potrebbe essere la nuova favorita per il premio alla migliore interpretazione femminile. Forse mai in così in forma anche Kristen Stewart , che stavolta non ha nulla da farsi rimproverare e, anzi, grazie a un paio di battute nel film si prende anche una personale rivincita rispetto a chi non ritiene degni di attenzione i giovani interpreti scoperti dai franchise hollywoodiani.



BEST MOVIE

Si è parlato tanto di fantasmi durante questo Festival di Cannes, che quando poi i fantasmi arrivano non te ne accorgi: Clouds of Sils Maria di Olivier Assayas, ultimo film in concorso, è, tra le altre cose, il film che non è Maps to the Stars di Cronenberg e che avremmo voluto che fosse.
Maria Enders (Juliette Binoche) si sta recando a ricevere un premio alla carriera quando scopre che l’autore di una pièce in cui ha recitato quando aveva vent’anni, è morto. Nel frattempo un importante regista teatrale le offre di ritornare in scena con quello stesso lavoro, ma in una parte differente: non più la giovane Sigrid, ma Helena, la donna che per amore di lei perde la testa e si suicida. Sigrid sarà invece interpretata da Jo-Ann Ellis (Chloe Moretz), teen idol e star da cinecomic, al centro delle cronache per aver tentato di ammazzare il suo ex fidanzato. Maria parte allora per Sils, una vallata delle Alpi svizzere, dove inizia a provare la parte assieme alla sua assistente Valentine (Kristen Stewart).
Assayas racconta la recitazione (l’arte) mentre (non) accade, cioè quando esiste lontano dal palco e dalle riprese. Prima, quando viene pensata, contrattata, immaginata, provata su se stessi prima delle prove stesse. Dopo, quando è ormai sedimentata nella vita. E racconta pure il pubblico che siamo tutti, chi il cinema lo fa e chi lo guarda, cioè chi lo pensa, con tutti i pregiudizi, i cliché intellettuali, l’atteggiarsi, tutto il corteo di stupidaggini di cui il Festival è una meravigliosa vetrina. Per farlo non manda allo sbaraglio i suoi personaggi verso la resa dei conti e delle nevrosi (come fa Cronenberg), anzi li inscena in alta montagna in una cornice spettacolare, in pratica li rasserena – facendoli parlare e camminare -, fino alla loro risoluzione e alla sua letterale scomparsa. Affronta l’argomento con una limpidezza che ha solo un solo problema: c’è il rischio di prendere il film in senso letterale.
Se esiste qualcosa come un inconscio cinematografico collettivo, Clouds of Sils Maria è la cosa più vicina a rappresentarlo, e lo fa con immagini meravigliose e potenti (il serpente di nubi che corre per la valle e dà titolo alla pièce), dialoghi precisi e divertenti, due attrici bravissime (la Binoche e la Stewart, i cui duetti rappresentano l’80% del film).
Per me è la Palma d’Oro, ma probabilmente vincerà chi ha fatto il compitino per la maestra.

Nessun commento:

Posta un commento